Islanda: la rivoluzione silenziosa.....






La Gloriosa Rivoluzione del nuovo Millennio. Nelle temperie politico-economica del momento, tra speculazioni e Borse sull’orlo della crisi isterica e governi che annaspano di fronte alle bizze dei mercati, non può che destare impressione la rivoluzione dal basso avvenuta in Islanda.Dopo lo shock del default del 2008, nella Repubblica dei geyser i cittadini hanno preso in pugno la situazione, riscrivendo da zero le leggi del vivere comune e imponendo nuove regole al ‘dissoluto’ mondo finanziario. La classe dirigente che aveva portato il paese nel baratro è stata pacificamente allontanata e il popolo sovrano ha posto le basi per un futuro veramente democratico. E adesso sta essere garantita anche la totale libertà d’informazione.
Peccato, però, che nessuno dei nostrani organi d’informazione principali ne parli, né i quotidiani più importanti tanto meno la televisione. L’unico a riportare la notizia è stato il Fatto Quotidiano e centinaia di blogger tra cui in primis Informare x Resistere. Eppure la rivoluzione senza sangue sulla falsariga dell’antenata inglese del 1688, è di enorme portata.

I fatti

Il collasso economico dell’Islanda risale al 2008. Nel settembre di tre anni fa la nazionalizzazione della più importante banca del paese, la Glitnir Bank, si rivela la classica goccia che fa traboccare il vaso: la moneta crolla e la Borsa sospende tutte le attività. L’Islanda viene dichiarata ufficialmente in bancarotta.
Nel gennaio del 2009 le proteste dei cittadini di fronte al Parlamento provocano le dimissioni del Primo Ministro Geir Haarde e di tutto il Governo – la Alleanza Social-Democratica (Samfylkingin) – costringendo il Paese alle elezioni anticipate, ma la situazione economica rimane precaria. Per ovviare alla crisi, il Parlamento propone una legge che prevede il risanamento del debito nei confronti di Gran Bretagna e Olanda, attraverso il pagamento di 3,5 miliardi di euro che avrebbe gravato su ogni famiglia islandese, mensilmente, per la durata di 15 anni e con un tasso di interesse del 5,5%. Una spada di Damocle, una ghigliottina a cui i cittadini non intendono sottoporsi: le piazze tornano a riempirsi,  il popolo chiede a gran voce di sottoporre a Referendum il provvedimento sopracitato.
Passano due anni e lo scorso febbraio il Presidente Olafur Grimsson pone il veto alla ratifica della legge e annuncia il Referendum consultivo popolare. Le votazioni si tengono il mese successivo e il NO, manco a dirlo, vince con consenso bulgaro (93% ). Nel frattempo, il Governo ha disposto le inchieste per determinare giuridicamente le responsabilità civili e penali della crisi. Vengono emessi i primi mandati di arresto per diversi banchieri e membri dell’esecutivo. L’Interpol si incarica di ricercare e catturare i condannati: tutti i banchieri implicati abbandonano l’isola. Contestualmente, viene eletta un’Assemblea per redigere una Nuova Costituzione. Un compito che viene affidato al popolo islandese: vengono eletti legalmente 25 cittadini tra i 522 che si sono presentati alle votazioni. Gli unici tre vincoli per la candidatura sono la maggiore età, disporre delle firme di almeno 30 sostenitori e sopratutto non aver alcuna affiliazione politica.
La rivoluzionaria Assemblea Costituzionale inizia così il suo lavoro e presenta una Magna Carta in cui confluiscono le idee elaborate nel corso delle diverse assemblee popolari che hanno avuto luogo in tutto il Paese. La Magna Carta ora dovrà essere sottoposta all’approvazione del Parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni legislative.
Ma non finisce qui. Dopo questa eccezionale lezione di civiltà, democrazia diretta e sovranità popolare, gli islandesi stanno lavorando ad un altro strumento “rivoluzionario”, l’”Icelandic Modern Media Initiative”, un progetto finalizzato alla costruzione di una cornice legale per la protezione della libertà di informazione e dell’espressione. L’obiettivo è la creazione di un ambiente sicuro per il giornalismo investigativo, una sorta di “paradiso legale” per le fonti, i giornalisti e gli internet provider che divulgano informazioni giornalistiche.

Silenzio da censura 

E’ incomprensibile come quotidiani, giornali e televisioni non abbiano documentato questa rivoluzione epocale. E’ come se su una delle notizie più importanti degli ultimi anni sia calata una ‘velina’. Come mai? Forse per non ‘stimolare’ l’opinione pubblica europea a fare altrettanto? Per timore che l’Islanda funga da ‘cattivo esempio’? Emerge così in tutta la sua evidenza il paradosso di quegli organi d’informazione che da un lato lanciano crociate nel nome dell’”libertà d’informazione” e di internet, ma dall’altro tacciono chi dalle parole passa ai fatti.
Se lasciare la rete nella totale anarchia è più che opinabile – vogliamo permettere la pubblicazione di siti incitanti all’odio razziale, revanscisti o ancor peggio pedopornografici come accade ora? – quel che è certo è che se proprio non vogliamo trarre insegnamento dalla lezione islandese, perlomeno dovremmo degnarci, con un pizzico di coerenza, di raccontarla a chi vuole ascoltarla.

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